Il deserto, il cielo, il sole, un cavallo, un uomo, la sua pistola e una
scelta.
«Allora,
ti sei deciso?»
«Chiudi
quel brutto muso che ti ritrovi» disse l’uomo al cavallo disteso
alle sue spalle. L’uomo se ne stava seduto su una gobba di sabbia, il cappello tra le mani e lo sguardo al vasto orizzonte.
Pigre perline di sudore giù dalla sua testa calva, lungo le tempie.
La sua mano si strinse intorno alla bocca storta in un ghigno.
«Ti
fa ancora male?» chiese il cavallo.
«Mh
mh.»
«Che
aspetti a tirarlo via?»
«Finirebbe
per farmi più male, aspetto che si decida a cadere.»
«Ma
soffri più a lungo. È solo un dente, tiralo via.»
«È
l’ultimo che mi rimane.»
«Prima
o poi finiscono, man.»
«Dici
che mi conviene tirarlo via, allora?»
«Già.»
«Non
me la sento.»
«Sei
un cowboy, man. Su quelli come te ci canteranno canzoni, scriveranno
libri e gireranno film. Non fare la femminuccia. Guarda che ti ho
sentito stanotte, mentre dormivi.»
«Cosa
dicevo?»
«Non
parlavi: frignavi. Un uomo grande e grosso come te che si lamenta
come un bambino del dentino.»
«Non
è solo il dente.»
«E
che altro?»
«Sei
un cavallo, cosa ne vuoi sapere.»
«Hai
tenuto il tuo culo flaccido sulla mia schiena per anni, ti conosco.»
«È
che ho paura che se mi decido a farlo, poi sotto il cuscino non ci
trovo nulla.»
«Man,
parli della fatina dei dentini?»
«Chiamala
così se vuoi, horse.»
«Siamo
arrivati fin qui, qualcosa devi farlo.»
«Non
posso tornare indietro.»
«Vuoi
andare avanti? Monta su e andiamo.»
«Non
posso nemmeno andare avanti.»
«Vuoi
restare qui a crepare di sete?»
«E
di mal di denti.»
«Ascolta,
giù al saloon sei una leggenda. Hai ragione: non puoi tornare
indietro e farti vedere in questo stato da loro. Cosa diranno?»
«Quello
che diranno anche al prossimo villaggio.»
«Tu
sei l’uomo, il grande uomo. Vivi della tua leggenda, vivi nella tua
leggenda. Non devi far altro che buttarci qualche altro ramoscello in
quel fuoco.»
L’uomo
seduto nel deserto si tolse gli stivali e li capovolse. Il vento si
prese la sabbia che ne uscì. Poi ne prese a schiaffi le piante, per
farne uscire gli ultimi granelli.
«Guarda
che buchi che hai in quegli stivali, man. Che aspetti a buttarli?»
«Ne
ho passate tante con loro.»
«E
anche con me.»
«Ti
ricordi di quella volta che inseguivamo i Dalton e...»
«Smettila,
man. Ti fai del male. Guardati: stamattina hai anche dimenticato di
metterti i chaps. Un tempo era la prima cosa che facevi al mattino.
Sei diventato vecchio, man. Le tue camicie una volta erano gonfie dei
tuoi muscoli e ora sei... sei la metà di quello che eri. Che fine ha
fatto la leggenda?»
«Forse
non c’è mai stata.»
«Ma
gli altri ci hanno creduto. Lascia che almeno quella continui a
vivere.»
«Diranno
semplicemente che mi sono perso nel deserto e ci sono morto.»
«Noooo,
la gente ha bisogno delle leggende, non si accontenteranno di una
stupida verità. Inventeranno un mucchio di storie e con loro
continuerai a stare in sella, a inseguire i Dalton o chi caspita ti
pare. Fallo, man. Deciditi.»
L’uomo
guardò la sua Colt. L’unica cosa rimasta uguale nel tempo, sempre
tirata a lucido.
«Coraggio,
man.»
Era
l’ora di tirare via quel dente. Le ombre degli avvoltoi giravano in
tondo sulla sabbia.
«Aspetta,
man. Gli stivali. Non dimenticare gli stivali. Un vero uomo muore
sempre con gli stivali ai piedi.»
Il
cavallo aveva ragione. L’uomo li infilò. Ora era pronto. La bocca
della pistola contro quel dente emaciato e ballerino. L’uomo scelse
la leggenda.
Il cavallo si tirò
su. I suoi occhi neri puntarono l’orizzonte e ci camminò contro,
dondolando. Intinse i suoi zoccoli nel sangue. Orme rosse sulla
sabbia calda.
Racconto finalista al concorso La venticinquesima ora edizione 2016, organizzato dalla scuola di scrittura Belleville.
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