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lunedì 11 gennaio 2016

[RECENSIONE] My Two Cents: American Crime Stagione 2 e The Shannara Chronicles (?)



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Inauguriamo questo blog con un pensiero sulle prime due serie televisive viste in questo 2016: la seconda stagione di American Crime e The Shannara Chronicles. Due serie tv che ero curioso di vedere per motivi diametralmente opposti. 


Premetto che si tratta dei tradizionali My Two Cents, non c’è pretesa di esaustività, ma solo la volontà di mettere per iscritto impressioni suscitate dalla visione e di condividerle. 

Partiamo da American Crime. Serie tv che ha fatto il suo esordio lo scorso anno sull’emittente statunitense ABC. Con tre nomination ai Golden Globe e nessuna vittoria, sei nomination agli Emmy Awards e una vittoria, è una serie molto apprezzata dalla critica. Anche se la reazione del pubblico è stata meno entusiasta, la serie è comunque stabile al di sopra di un onorevole quattro milioni di telespettatori a puntata. Una serie antologica in cui ogni stagione è autoconclusiva, ha una nuova ambientazione e una nuova vicenda, con parte del cast che si rinnova. La prima puntata della seconda stagione ha confermato quanto di buono aveva mostrato la prima stagione. Innanzitutto è da riconoscere la capacità del creatore (John Ridley, già Oscar nel 2014 per la sceneggiatura di 12 anni schiavo) e degli sceneggiatori di intercettare tematiche calde e di sviscerarle con passione e allo stesso tempo con un metodo dalla precisione chirurgica. Nella prima stagione i temi principali erano il ruolo genitoriale e lo scontro razziale in una cornice di repressione sociale e demonizzazione dei costumi sessuali e di tossicodipendenza. Nella seconda stagione i temi portanti sembrano essere il divario socio-economico e il bullismo nella sua declinazione cyber, esaminati in un tipico scenario delle serie tv statunitensi quale quello liceale. 





Temi caldi, si diceva. Il bullismo e il cyberbulling, dalle nostre parti un argomento un po’ di nicchia, spesso relegato nella normalità dei rapporti adolescenziali, in un contesto di scarsa alfabetizzazione tecnologica e bassa coscienza dell’uso dei social media, è negli States una vera e propria piaga sociale. Basti pensare che il suicidio è la seconda causa di morte tra i 15 e i 24 anni e che una percentuale considerevole di tali episodi è da riportare a episodi di bullismo e cyberbullismo (alcune statistiche le trovate qui e qui). Segno di quanto sia un discorso sempre più sentito e diffuso: la direzione in cui la serie sembra andare è simile a quella già esplorata da un altro film di tutt’altro genere e pretese ma comunque interessante per molti aspetti, Unfriended di Levan Gabriadze che lo scorso anno ha riscosso un considerevole successo di pubblico (oltre 62 milioni di dollari d’incasso contro 1 milione di produzione). L’obiettivo sembra essere l’esplorazione delle dinamiche di gruppo adolescenziali, le relazioni tra gruppo e individuo, come il primo riesca a trasformare il secondo, come il “bravo ragazzo” può diventare carnefice nella maniera più disturbante: banalmente. La banalità del male, di arendtiana memoria (sto parlando di questo), quale incubo di una società appagata nei suoi bisogni materiali, ma spiritualmente affamata. Un concetto per molti versi di matrice religiosa, e non a caso nella prima stagione era fortemente sottolineata la differenza religiosa tra i protagonisti, appartenenti ai tre più grandi gruppi religiosi degli States (protestanti, cattolici, islamici), e tuttavia accomunati dal disagio spirituale.



Oltre alla scrittura sviscerante, trovano conferma le capacità recitative di Felicity Huffman, Timothy Hutton e Regina King chiamati in questa seconda stagione in ruoli assai distanti da quelli della prima. Nelle prossime puntate farà il suo ritorno anche Richard Cabral, tra gli attori più interessanti della precedente stagione. 

La regia invece si fa più sobria. Nella prima stagione la regia posata e ben calibrata era capace di divenire febbrile, disturbante, quando il momento lo richiedeva, dotando le immagini di quella capacità immersiva e comunicativa – sublimata da un ottimo montaggio - propria del buon cinema. Per il momento (ma è solo la prima puntata quindi con ogni probabilità sarò smentito) non si sono visti grandi virtuosismi, ma una regia comunque solida e godibile



Ora dovrei parlarvi di The Shannara Chronicles, ma abbiamo passato da un po’ i 3800 caratteri e visto che mi sono ripromesso di non essere logorroico e che ho scritto cinque volte quanto volevo scrivere, la chiudiamo qui e di The Shannara Chronicles ne parliamo tra qualche giorno, che tanto lì sta e non si muove.


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