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venerdì 16 dicembre 2016

La dittatura della trama: appunti sulle serie tv



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Ieri ho visto The Affair S03E04: una puntata non riuscita in una serie con molte cose meritevoli.

Poi ho letto due recensioni: una di un sito che mi piace che parlava di The Affair come di uno dei più grandi capolavori degli ultimi anni (e non lo è), l’altra di un sito che mi piace poco e che lo descriveva come la merda più totale (e non lo è).

A parte la logica da Amazon che si è impossessata dei metri di giudizio del mondo occidentale per cui un prodotto (dall’intrattenimento alla politica) o è una stella o è cinque stelle, le reazioni a The Affair mi sembrano sintomatiche del cambiamento del modo di intendere il format televisivo.
Per come la vedo, uno dei grandi pregi delle serie tv sono i tempi, più lunghi e distesi di un film, con 10 ore a disposizione ogni anno per raccontare qualcosa che altrimenti avresti dovuto raccontare nelle 2-3 ore di un film. L’evoluzione dei personaggi e degli eventi viene diluita e assimilata meglio dallo spettatore, ne è la conseguenza naturale.
Nel caso di The Affair è successa la seguente cosa: è partita come una serie con due protagonisti (Noah e Allison) e una vicenda amorosa che doveva svelarne le psicologie; nella seconda stagione è diventata una serie con un solo protagonista (Noah) e una forte componente mistery; nella terza stagione sta diventando una serie corale che punta alla disillusione più totale, in totale contrasto con l’atto di eroismo che chiudeva la seconda. Il punto non è che questa mutazione non gli stia riuscendo, perché è obiettivamente difficile trasformare dopo venti puntate in personaggi quelli che fino ad ora erano stati burattini per fare andare avanti la trama; la questione è che gli spettatori si lamentano ovunque che non sta succedendo nulla. Ecco quella che per me è la questione: le serie tv sono sempre più spesso progettate come nulla di più che contenitori di eventi. Il nuovo imperativo è: di puntata in puntata la trama deve necessariamente andare avanti, deve esserci un cliffhanger finale, deve essere risolto all’inizio della successiva e via fino al prossimo cliffhanger. È la dittatura della trama. La trama stessa e il suo avanzamento diventano il metro di giudizio delle singole puntate, su cui spettatori e siti sono chiamati a pronunciarsi nel breve tempo, prima della concorrenza (economica o psicologica), in un meccanismo pompato dai tempi rapidi dei social. Viene meno l’idea che ci siano puntate di assestamento, in cui il racconto deve rallentare, la corsa fermarsi e lo spettatore tirare il fiato



Se si pensa ad esempio alla trama complessiva dei Soprano – ma anche a quella di The Wire, e quindi a quelle che per me sono le due vette della produzione televisiva – ci si rende conto di quanto poco siano corpose, in termini di mero spostamento da un punto A a un punto B.
I successi commerciali degli ultimi anni hanno piegato una buona parte del pubblico a un ritmo e a un modello che riduce il tutto in funzione della trama, degli eventi, trasformando le serie tv in mere cronache, ovviamente spettacolari ma pur sempre cronache.

Game of Thrones (una serie che nonostante tutto amo) ne è un esempio e forse è la vera differenza tra la versione televisiva e quella letteraria. Questa è l’unica vera infedeltà di Game of Thrones al testo da cui è tratto. Intere parti del libro sono state sminuite a semplici ingranaggi per far fare quel passo in più alla trama. Ad esempio, due parti che per me sono tra le più belle e significative del libro: il viaggio di Catelyn Stark a sud quando va a parlamentare con Renly Baratheon e il viaggio del Mastino e di Arya insieme. Nella serie tv altro non sono altro che degli strumenti per portare dei personaggi da un luogo all’altro e innescare nuovi eventi. In termini di mera scrittura, la serie tv più vicina a Game of Thrones è Beautiful.

Qualcosa di simile accade con Breaking Bad, che è una serie spettacolare nelle prime due stagioni e che esaurisce il proprio argomento con la morte di Jane. Le altre tre stagioni sono solo un continuo inseguimento al colpo di scena, alla frase che deve diventare fenomeno pulp, a soluzioni elaborate per districare situazioni sempre più complesse. Il tutto è operato magistralmente, sia chiaro, ma è solo e unicamente il bellissimo fumo di una carne che era oramai cotta alla puntata 13 della stagione 2.

Tutte le serie netflix sono piegate dalla logica del binge watching, in virtù della piattaforma su cui sono distribuite, del suo modello produttivo della coda lunga, e generalmente appiattite sull’aspetto evenementielle come la direbbero i francesi. Stranger Things è bellissima, ma non è nulla di più che una reclame agli anni ’80 molto furba e molto ben diretta; è un treno merci carico di effetto nostalgia, che viaggia su binari ben noti e stabiliti senza nulla aggiungere in termini di innovazione del racconto, di scrittura e concezione del prodotto.



Non è il caso però di scadere nel disfattismo, sarebbe inutile oltre che antistorico, la produzione è varia e offre anche altro. Westworld ad esempio è la più grande eccezione da quasi dieci anni a questa parte a questo modello, volendoci limitare alle grandi produzioni (1). Nella scatola di Westworld non c’è nulla di più dell'ennesima rivolta dei robot. Ciò che conta è la confezione in cui è incartata la scatola: una gigantesca architettura in cui si sovrappongono a vari piani l’uso intelligente e innovativo di tecniche di narrazione vecchie di secoli e complesse tematiche sorrette da dialoghi straordinariamente efficaci.

È un dato di fatto però che oggi il mercato e il pubblico - per tutti i cambiamenti avvenuti nella distribuzione e per il cambiamento delle abitudini del pubblico nella fruizione della tv - molto più che in passato tendono a premiare un certo tipo di prodotto come quello descritto sopra, meno innovativo nelle sue forme e nelle sue caratteristiche. Basta un confronto con la prima decade del Duemila.




(1) Nello stesso lasso di tempo, Generation Kill è tra le cose mandate in tv più agli antipodi con questo modello di intrattenimento (una serie tv in teoria di guerra dove la guerra non si vede quasi mai). Altri esempi, così su due piedi, sono: Show Me a Hero, The Night of (che più che un crime o un noir, lo definirei un legal porn, argomento su cui magari tornerò), Mad Men, il nostrano The Young Pope


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